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Alessitimia: Cos’è, Sintomi e Possibili Test

Alessitimia: cos'è, sintomi possibili test

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  • Alessitimia: significato e caratteristiche del disturbo”
  • Cause dell’alessitimia e comportamento di una persona alessitimica
  • Test sull’alessitimia: come riconoscere se ne soffri
  • Effetti e conseguenze dell’alessitimia nella vita quotidiana
  • Alessitimia digitale: emozioni e relazioni nell’era online
  • Trattamenti e terapie per superare l’alessitimia

Alessitimia: significato e caratteristiche del disturbo”

L’alessitimia (dal greco a-lexis-thymos, “mancanza di parole per le emozioni”) è un fenomeno affascinante e complesso, che mette in luce quanto sia difficile, a volte, dare voce a ciò che si prova. In pratica, chi vive questa condizione fatica non solo a riconoscere le proprie emozioni, ma anche a tradurle in parole. Non si tratta di semplice timidezza o chiusura, ma di una vera e propria difficoltà di elaborazione emotiva, spesso invisibile a chi osserva dall’esterno.

Il significato dell’alessitimia è strettamente legato alla connessione tra pensiero e sentimento. Alcuni studiosi la definiscono come una sorta di “analfabetismo emotivo”, una barriera interna che impedisce di decifrare il proprio mondo interiore. Le persone alessitimiche, infatti, possono sembrare distanti, quasi apatiche, ma dentro vivono emozioni forti, confuse e non elaborate. Questo scarto tra ciò che si sente e ciò che si comunica può minare la qualità dei rapporti, provocando isolamento, incomprensioni e solitudine emotiva.

Tra le caratteristiche dell’alessitimia, le più riconoscibili includono l’incapacità di descrivere le emozioni, una tendenza a focalizzarsi su aspetti pratici e tangibili della realtà, e una certa povertà immaginativa. (Non è raro che chi soffre di alessitimia confonda, ad esempio, l’ansia con un malessere fisico o la tristezza con la stanchezza.) A livello clinico si distinguono due forme principali: l’alessitimia primaria, di origine neurobiologica, e quella secondaria, che emerge dopo eventi traumatici, lutti o periodi di stress prolungato.

Identificare questo disturbo non è immediato. Esistono strumenti validati come il test TAS-20 (Toronto Alexithymia Scale), ma la valutazione deve sempre essere affidata a uno psicologo o psicoterapeuta esperto. È importante ricordare che l’alessitimia non è una malattia in senso stretto: piuttosto, un tratto della personalità o una conseguenza di altri disturbi emotivi, come la depressione, il disturbo d’ansia o il PTSD.

Sul fronte del trattamento, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la mindfulness e i percorsi di educazione emotiva si rivelano molto efficaci. L’obiettivo non è “guarire” da qualcosa, ma imparare a dare un nome alle emozioni, a sentirle senza paura, e a comunicarle in modo autentico. In fondo, capire davvero il significato e le caratteristiche dell’alessitimia significa imparare a riconnettersi con se stessi — perché solo comprendendo il proprio mondo interiore si può tornare a sentire, davvero.

Cause dell’alessitimia e comportamento di una persona alessitimica

Una persona si interroga sulle cause dell'alessitimia

Parlare delle cause dell’alessitimia e del comportamento di una persona alessitimica significa affrontare un tema che tocca in profondità la sfera emotiva e relazionale. L’alessitimia, infatti, non è solo una difficoltà nel “sentire”, ma un vero e proprio modo diverso di percepire e processare le emozioni. Chi ne soffre non è privo di sentimenti — come spesso si crede — ma fatica a identificarli, interpretarli e condividerli. È come se le emozioni scorressero, ma senza trovare mai le parole per uscire.

Le cause dell’alessitimia non sono univoche. Possono intrecciarsi fattori biologici, psicologici e sociali in un equilibrio delicato e spesso invisibile. Da un lato, esistono predisposizioni neurobiologiche: differenze nell’attività di aree cerebrali come l’amigdala o la corteccia prefrontale possono rendere più complesso il riconoscimento delle emozioni. Dall’altro, vi sono le cause psicologiche, più sottili e spesso radicate nell’infanzia. Crescere in un ambiente dove le emozioni non vengono accolte, ma giudicate o ignorate, può portare a sviluppare una sorta di “autodifesa emotiva”. Così, il bambino impara a non sentire, o meglio, a non esprimere. E da adulto, quella barriera resta.

In questi casi si parla di alessitimia secondaria, frutto di esperienze traumatiche, stress cronico, depressione o disturbo post-traumatico da stress (PTSD). È una risposta adattiva a un dolore troppo grande da sostenere. L’alessitimia primaria, invece, ha origini più profonde, legate alla genetica e allo sviluppo neurologico, ed è spesso presente fin dall’età evolutiva.

Osservando il comportamento di una persona alessitimica, si colgono tratti ricorrenti: un linguaggio emotivo scarno, un pensiero pratico, concreto, quasi tecnico. L’immaginazione è povera, la capacità empatica ridotta. Non si tratta di indifferenza, ma di una difficoltà nel leggere la mappa emotiva degli altri e la propria. Le emozioni, quando emergono, sono confuse, caotiche. Spesso vengono percepite come sensazioni fisiche — un nodo allo stomaco, un peso sul petto — più che come stati interiori.

Chi presenta tratti alessitimici tende a razionalizzare tutto, a rifugiarsi nella logica e nei fatti, evitando ogni forma di vulnerabilità. In una relazione, questo può diventare un problema: il partner alessitimico sembra distante, freddo, persino disinteressato. Ma dietro quella corazza c’è quasi sempre una paura di sentirsi sopraffatti dalle emozioni.

Le conseguenze, nel tempo, possono essere importanti: isolamento emotivo, difficoltà di comunicazione, somatizzazione e un generale senso di estraneità rispetto a sé stessi. Tuttavia, la buona notizia è che si può cambiare. Con la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT), la mindfulness o percorsi di educazione emotiva, è possibile imparare a riconoscere e a dare un nome alle emozioni.

Comprendere le cause dell’alessitimia e il comportamento di una persona alessitimica non serve solo a definire un disturbo, ma a costruire ponti di empatia. Significa imparare — passo dopo passo — che sentire non è una debolezza, ma una forma di forza interiore. E che, a volte, il silenzio emotivo non è assenza… è solo il linguaggio di chi non ha ancora trovato le parole.

Test sull’alessitimia: come riconoscere se ne soffri

Il test dell’alessitimia è uno strumento psicologico che permette di comprendere fino a che punto una persona riesce a riconoscere, interpretare e comunicare le proprie emozioni. Non si tratta di un semplice questionario, ma di una lente attraverso cui osservare il modo in cui ciascuno entra in contatto con il proprio mondo interiore. In un’epoca in cui si parla tanto di intelligenza emotiva, capire come funziona un test sull’alessitimia significa avvicinarsi a uno dei temi più complessi e affascinanti della psicologia contemporanea.

Il test per l’alessitimia, conosciuto anche come TAS-20 (Toronto Alexithymia Scale), è oggi lo strumento di riferimento per la valutazione di questa condizione. È formato da venti affermazioni, ciascuna delle quali esplora un aspetto diverso del rapporto con le emozioni: la capacità di riconoscerle, di descriverle e di differenziarle dalle sensazioni fisiche. Le risposte, espresse su una scala da 1 a 5, restituiscono un punteggio complessivo che misura il grado di alessitimia.

Dietro la semplicità apparente del test TAS-20 sull’alessitimia si nasconde un valore clinico importante. Viene infatti utilizzato da psicologi, psicoterapeuti e neuroscienziati in contesti diversi: dalla ricerca universitaria alle valutazioni cliniche individuali. L’obiettivo non è “etichettare” la persona, ma comprendere come si relaziona con il proprio universo emotivo. Chi ottiene un punteggio alto non è necessariamente privo di emozioni: al contrario, spesso le vive in modo intenso, ma non sa come esprimerle o tradurle in parole.

Il test dell’alessitimia online, disponibile in versioni adattate o gratuite, può offrire un primo spunto di riflessione. Tuttavia, solo un professionista può interpretarne correttamente i risultati. Le sfumature psicologiche dietro un punteggio non possono essere ridotte a un numero: entrano in gioco la storia personale, i modelli familiari, i traumi, le esperienze relazionali e persino fattori culturali.

In genere, un punteggio inferiore a 50 indica una buona consapevolezza emotiva, tra 51 e 60 suggerisce la presenza di tratti alessitimici moderati, mentre oltre 61 punti può segnalare una marcata difficoltà nella gestione e nell’espressione delle emozioni. Queste soglie, pur indicative, devono essere lette con cautela: un periodo di forte stress, depressione o disturbo post-traumatico da stress (PTSD) può influenzare temporaneamente il modo in cui si vive e si riconosce la propria interiorità.

Il test per l’alessitimia si rivela utile in molti ambiti: dalle relazioni di coppia alle dinamiche familiari, fino alle aziende che vogliono promuovere la salute emotiva dei dipendenti. Può aiutare chi si sente “bloccato emotivamente”, chi tende a somatizzare, o chi fatica a comprendere perché le proprie relazioni sembrino prive di profondità. In certi casi, l’alessitimia si intreccia con altri disturbi — come l’autismo, i disturbi psicosomatici o i disturbi d’ansia — rendendo il test dell’alessitimia TAS-20 un punto di partenza prezioso per una valutazione più ampia.

Superato il momento della misurazione, il passo successivo è quello dell’elaborazione. Comprendere i risultati del test sull’alessitimia significa iniziare a interrogarsi su di sé. Per alcuni è un sollievo (“ora capisco perché non riesco a parlare di ciò che sento”), per altri una sfida (“voglio imparare a connettermi di più con me stesso”). In entrambi i casi, la consapevolezza diventa la chiave per aprire un percorso di cambiamento.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT), le pratiche di mindfulness, il training di intelligenza emotiva e la psicoeducazione sono strumenti efficaci per migliorare la consapevolezza affettiva. Non si tratta di “curare” qualcosa, ma di ampliare il proprio vocabolario emotivo, di imparare a nominare ciò che si prova — anche quando non è facile.

Effetti e conseguenze dell’alessitimia nella vita quotidiana

Capire gli effetti dell’alessitimia nella vita quotidiana significa entrare nel cuore di un fenomeno che condiziona silenziosamente il modo in cui sentiamo, pensiamo e ci relazioniamo. L’alessitimia non è solo una difficoltà nel “parlare di emozioni”, ma una barriera invisibile che separa la mente dal cuore. Chi ne soffre non è privo di sensibilità: semplicemente, non riesce a riconoscere o tradurre in parole ciò che prova.

Nella vita quotidiana, gli effetti dell’alessitimia si manifestano in maniera sottile, a volte quasi impercettibile. Una persona alessitimica può apparire tranquilla e razionale, ma dietro quella calma apparente si nasconde spesso un mondo interiore confuso e silenzioso. Non si tratta di freddezza, bensì di una difficoltà di accesso al linguaggio emotivo. Così, invece di dire “sono triste” o “mi sento ferito”, emergono frasi neutre come “non so cosa mi succede”, oppure reazioni fisiche come mal di testa, tensioni muscolari o insonnia.

Sul piano relazionale, gli effetti dell’alessitimia diventano più evidenti. Le persone con alessitimia relazionale spesso faticano a comprendere le emozioni del partner o dei propri cari. Possono amare profondamente, ma non riescono a dimostrarlo nel modo in cui l’altro si aspetta. Questo crea distanza, fraintendimenti, e in molti casi la sensazione reciproca di non essere compresi. Le relazioni diventano così un campo minato di silenzi e interpretazioni errate, dove la mancanza di parole viene scambiata per disinteresse.

Anche nel lavoro gli effetti dell’alessitimia nella vita quotidiana si fanno sentire. Chi tende a reprimere le emozioni appare pragmatico, lucido, orientato ai risultati — qualità apprezzate, certo — ma può perdere la capacità di connettersi con il gruppo, di gestire conflitti o di riconoscere i segnali di stress. A lungo andare, questa rigidità può trasformarsi in stress cronico, burnout o somatizzazione, cioè la traduzione fisica delle emozioni non espresse.

A livello psicologico, gli effetti dell’alessitimia si intrecciano con ansia, depressione, disturbi psicosomatici e perfino dipendenze affettive. Quando non si riesce a comprendere il proprio mondo emotivo, si cerca un modo alternativo per anestetizzare il disagio: cibo, lavoro, relazioni tossiche, oppure controllo eccessivo. È un meccanismo di protezione, ma a lungo termine erode la spontaneità e la connessione con se stessi.

Eppure, non tutto è immutabile. Gli effetti dell’alessitimia possono essere ridotti attraverso la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT), la mindfulness, l’educazione emotiva e percorsi di intelligenza emotiva. L’obiettivo non è “insegnare a sentire”, ma aiutare la persona a riconoscere le proprie sensazioni, collegarle a esperienze e imparare a comunicarle. Col tempo, si costruisce un linguaggio emotivo nuovo — imperfetto, ma autentico.

Alessitimia digitale: emozioni e relazioni nell’era online

Immagine che rappresenta i social e l'alessitimia digitale

L’alessitimia digitale è una delle nuove frontiere del disagio emotivo nell’era tecnologica. In apparenza viviamo connessi, costantemente in contatto con centinaia di persone, ma dietro quello schermo la nostra capacità di sentire davvero si assottiglia. Questo fenomeno, definito anche analfabetismo emotivo digitale, descrive la progressiva perdita della consapevolezza affettiva dovuta a un uso eccessivo e distorto dei social network, della comunicazione online e delle interazioni virtuali.

Nel cuore dell’alessitimia digitale si nasconde un paradosso: più comunichiamo, meno ci capiamo. I messaggi diventano rapidi, le emozioni ridotte a emoji, i sentimenti compressi in like o reaction. Non c’è più spazio per la pausa, per il tono della voce, per il silenzio che dà senso alle parole. L’iperconnessione costante, unita alla cultura della performance, ha trasformato la relazione digitale in un flusso di contatti, non di connessioni.

Chi sviluppa tratti di alessitimia online non è privo di emozioni — anzi, spesso ne prova troppe, ma senza riuscire a distinguerle. Si sente confuso, disorientato, incapace di nominare ciò che prova. In chat può sembrare freddo o distante, ma dentro vive un caos emotivo senza linguaggio. È una forma di disconnessione emotiva mascherata da iperconnettività.

Le cause dell’alessitimia digitale sono molteplici: la dipendenza da smartphone, l’abitudine a conversazioni frammentate, l’assenza di contatto fisico e visivo. A queste si aggiunge il ruolo ambiguo dell’intelligenza artificiale emotiva, che simula empatia ma la svuota di autenticità. Parlare con un algoritmo che “capisce” i sentimenti non equivale a essere compresi da un essere umano. Così, lentamente, impariamo a vivere emozioni preconfezionate, filtrate, semplificate.

Gli effetti dell’alessitimia digitale si estendono ben oltre lo schermo. Le persone alessitimiche digitali mostrano una crescente difficoltà nelle relazioni reali, una riduzione dell’empatia e un senso di vuoto che la connessione virtuale non riesce a colmare. Nel tempo, questa scissione può generare ansia sociale, depressione o stress emotivo, e perfino problemi di somatizzazione dovuti alla repressione costante delle emozioni.

Contrastare l’alessitimia digitale significa riappropriarsi della lentezza, del contatto diretto, dell’ascolto reciproco. Significa spegnere, ogni tanto, gli schermi e tornare a usare le parole, non i simboli. Le pratiche di mindfulness, la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) e i percorsi di educazione emotiva digitale aiutano a ristabilire quella connessione autentica tra mente e cuore.

Riconoscere l’alessitimia digitale è, in fondo, un atto di consapevolezza: il primo passo per tornare a sentire davvero, in un mondo che comunica tanto ma ascolta sempre meno.

Trattamenti e terapie per superare l’alessitimia

Le terapie per l’alessitimia non sono semplici percorsi psicologici, ma veri e propri strumenti di rieducazione emotiva. L’alessitimia, detta anche disturbo della consapevolezza emotiva, è una condizione in cui la persona fatica a comprendere, nominare e comunicare ciò che sente. Non si tratta di mancanza di emozioni — anzi, spesso le emozioni sono forti e confuse — ma dell’incapacità di dar loro una forma. Ecco perché le terapie alessitimia mirano a restituire linguaggio, significato e connessione al vissuto interiore.

Il primo passo di ogni terapia per l’alessitimia consiste nel riconoscere che esiste un problema nella gestione delle emozioni. Molte persone alessitimiche non ne sono consapevoli, finché non si scontrano con le conseguenze: relazioni difficili, incomunicabilità, somatizzazioni, ansia o depressione. È in quel momento che il percorso terapeutico diventa una possibilità di rinascita.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) è tra le terapie per l’alessitimia più efficaci. Attraverso il dialogo guidato, il terapeuta aiuta a identificare le emozioni collegate ai pensieri e ai comportamenti quotidiani. Non si tratta solo di parlare, ma di “allenare” la mente a riconoscere e decodificare i segnali emotivi del corpo. Spesso vengono utilizzati diari emotivi, schede di automonitoraggio e tecniche di esposizione alle emozioni. Nel tempo, la persona impara a distinguere la paura dalla rabbia, la tristezza dalla frustrazione, il disagio dalla vergogna.

Un altro approccio fondamentale è quello basato sulla mindfulness e sulla terapia metacognitiva. Qui il focus è sull’esperienza diretta: respirare, osservare, sentire. Le terapie alessitimia basate sulla mindfulness insegnano a non fuggire dalle emozioni, ma ad accoglierle senza giudizio. È un lavoro lento, ma profondo: il corpo diventa un alleato e non più un contenitore di tensioni represse.

La psicoterapia psicodinamica, invece, scava nel passato per comprendere l’origine dell’alessitimia. Molti individui sviluppano la difficoltà emotiva come difesa da esperienze traumatiche o da contesti familiari in cui esprimere sentimenti era pericoloso o inutile. In questo tipo di terapia per l’alessitimia, il terapeuta accompagna il paziente in un percorso di esplorazione dei legami affettivi originari, aiutandolo a ricostruire una narrazione emotiva coerente.

Non vanno dimenticate le terapie di gruppo e i programmi di intelligenza emotiva, che offrono un terreno relazionale in cui sperimentare la comunicazione affettiva. In gruppo, l’alessitimico osserva come gli altri parlano delle emozioni e, gradualmente, impara a fare lo stesso. È un’esperienza che insegna empatia e presenza, qualità spesso compromesse dal disturbo.

Esistono poi percorsi complementari: arteterapia, musicoterapia, scrittura terapeutica, yoga e bioenergetica. Tutte modalità che bypassano il linguaggio verbale e consentono di esprimere emozioni attraverso il corpo e la creatività. Anche l’educazione emotiva svolge un ruolo cruciale, soprattutto in contesti scolastici o aziendali, dove la gestione delle emozioni è una competenza sempre più richiesta.

Le terapie psicologiche per l’alessitimia non seguono un unico modello né hanno tempi prestabiliti. Ogni persona ha il proprio ritmo, le proprie resistenze e il proprio modo di imparare a “sentire”. Ma ciò che accomuna tutti i percorsi è un obiettivo comune: imparare a dare un nome alle emozioni, a viverle e a comunicarle. Perché guarire dall’alessitimia, in fondo, significa imparare di nuovo il linguaggio più antico e umano che esista: quello del cuore.

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